Care Donne,
oggi tutti intorno vi diranno che è la vostra "festa".
Alcune ne saranno compiaciute e soddisfatte; più tardi ritroveranno la
loro uscita annuale, le loro mimose e se ne andranno leggere, come una serata di
primavera, felici di aver apprezzato la sola compagnia del gentil sesso.
Altre ringrazieranno ma presto se ne dimenticheranno e avranno davanti
un'altra domenica di relax e soprattutto di non relax, piena di
incombenze da eliminare, uguale a tutti gli altri giorni, a tutti gli
altri fine settimana.
Qualcuna, fiera del significato storico di questa giornata di rilievo
internazionale, ringrazierà, penserà al significato della mimosa che oggi profuma le mura domestiche e a quella venduta ai bordi delle strade come gadget.
Ognuna di loro, ad un certo punto sarà triste perché, ancora ogni giorno e
ancora oggi nel 2015, troppo poco si fa per affermare la nostra "festa"
tutti i giorni.
E troppo poco facciamo pure noi.
Le nostre madri, le nostre nonne si sono impegnate per cambiare il
mondo, per sconvolgere i costumi di una società troppo ancorata agli
uomini e slegata per troppo tempo dal riconoscimento di diritti,
uguaglianza, parità di genere.
I passi avanti sono stati notevoli.
Oggi ce ne andiamo libere e indipendenti alla conquista di un mondo a misura nostra e non formattato per noi.
Oggi possiamo scegliere di studiare, di abitare dove vogliamo, di sposarci e non, di divorziare.
Possiamo decidere di essere sole nel nostro stato di famiglia senza
essere additate con il marchio di "zitella", possiamo crescere da sole
un figlio senza subire il pregiudizio di essere considerate una ragazza
madre.
In Italia.
In alcuni paesi europei possiamo persino sposarci tra di noi e adottare dei bambini.
In altri, se vogliamo andare a scuola e scriviamo un diario, siamo quasi ferite a morte, se tradiamo e cambiamo partner o se proviamo a guardare al di là di un velo spesso subiamo la lapidazione.
Ancora non abbiamo fatto abbastanza.
Oggi la donna è donna e non più solamente sposa, madre, figlia, sorella, nonna.
Però è ancora discriminata.
È discriminata nel momento in cui ancora oggi nel 2015 deve lottare per
affermare il proprio diritto allo studio o al lavoro, spesso impossibilitata
a dividersi tra casa e lavoro senza risorse umane o finanziarie in
abbondanza.
È discriminata quando alla faccia della meritocrazia ad un falsissimo
colloquio di lavoro, fatto proprio da una donna, le viene preferito un aspirante candidato senza
maternità potenziale o simpaticamente "subisce" indagini sul tuo status
personale con la domanda "hai famiglia" per capire se è "affidabile" 31
giorni su 30, 25 ore su 24!
È discriminata quando le viene addirittura chiesto di lavorare gratis perché "tanto ha il marito o il padre che la campa".
E questi sono solo esempi.
È discriminata da se stessa quando finisce prigioniera di ignoranza, superficialità e rinuncia a lottare per la propria dignità.
Care Donne, abbiamo ancora tanto lavoro da fare.
Ma oggi è la nostra "festa".
Domani chissà.
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