Il flusso...

Il flusso dei pensieri di una mente è un turbinio di emozioni e di sensazioni.
Io osservo la realtà e la descrivo, così per come è filtrata attraverso i miei occhi, la mia mente, il mio cuore, così per come la vedo io.

domenica 8 dicembre 2013

Siamo d'inverno? La mafia uccide solo d'estate

"La mafia, quale mafia?"
Il cinema è pieno, le risate volano via leggere prima di arrestarsi nei singhiozzi e in lacrime sofferte che scorrono lungo il viso. Ridi, gioisci e piangi.
Non puoi non restare stregato e affascinato da un film brioso, intelligente ed incredibilmente dolce.
Dominato per gran parte della pellicola dalle impressioni dei bambini, oggi filtrate dall'occhio adulto, lucido e consapevole, di chi lo è stato nella Palermo degli anni '70 e '80.
Anche se io sono nata dopo, ne vengo avvolta, coinvolta e rido e piango.
Io posso parlarvi di antimafia. Perché quando hanno ucciso Falcone e Borsellino era l'estate dei miei sette anni e, anche se me lo ricordo come fosse ieri quel dolore, prima non c'ero e se c'ero non posso ricordare.
Non ho conosciuto né ricordo i morti ammazzati per strada o le sirene assordanti e segnale di morte che ancora oggi sono impresse nella mente di chi era già adulto e genitore.
Io posso parlarvi dell'operazione dei Vespri Siciliani, quando la città venne "riempita" di militari ai lati delle strade per renderla più sicura. Persino il marciapiede della mia scuola, ai due lati dell'isolato, non molto lontano dall'Albero Falcone, aveva sempre due militari onnipresenti che imbracciavano il fucile, all'entrata e all'uscita, di giorno e di notte.
Per noi adolescenti delle scuole medie facevano perfettamente parte del paesaggio.
Non ci rendevamo conto. Ridevamo davanti alla cancellata, sui muretti, volenterosi di sognare e terrorizzati dall'ennesima probabile interrogazione di lettere.

Posso parlarvi della bellissima manifestazione che seguì un mese dopo la strage di Capaci cui i miei genitori mi portarono con i miei fratelli e delle arance che venivano distribuite, della folla che urlava "Chi non salta cosa nostra è" e dello stupore di certi miei compagni il giorno dopo quando dissi di esserci stata.
Nonostante la tenera età, in fondo se mi hanno colpito così tanto, vuol dire che un pò me ne rendevo conto.
E questo film ti aiuta a rinnovare la consapevolezza, seppur con un linguaggio nuovo che ridicolizza i mafiosi, ti fa ridere e il secondo dopo ti fa sentire in colpa per averlo fatto, lasciandoti percorrere da un brivido lungo tutta la schiena.
Un brivido di dolore. Per come possa essere successo tutto questo, quasi come se tutti potessimo solo assistere al drammatico spettacolo.
Il dolore c'è. Indelebile.
Come quello che proviamo quando Arturo si scontra con la dura realtà e capisce che il personaggio da lui più venerato non è quello che possa alimentare i suoi sogni.
Quando incontra tutti i più significativi uomini che hanno combattuto la mafia nel corso delle sue vicissitudini anche in una veste inusuale e divertente e puntualmente ne subisce la perdita assistendo alla loro tragica uccisione. Fino a quell'idea di dire a Flora la verità, di confidarle il suo splendido amore di sempre, senza riuscire a farlo. Chi leggerà le tracce colorate di questa dichiarazione sarà la prima vittima di un'autobomba devastante.

Ma poi arriva pure la speranza. Quella di riuscire finalmente a conquistare il suo mondo, di fare tesoro della sua consapevolezza ed esperienza per raccontarle agli altri, soprattutto ai più piccoli, per mostrare il miglior esempio del mondo che si possa dare ad un bambino: quello di chi non ha mai abbassato la testa, anche a costo della propria vita, di chi ha creduto nel senso del dovere e della giustizia, nell'amore verso il proprio lavoro e verso gli altri, verso noi che ne siamo oggi testimoni sotto qualunque forma.
Di chi non ha scelto di morire e che voleva solo vivere.



giovedì 14 novembre 2013

Vendere la cittadinanza europea?


Malta vuole vendere la cittadinanza europea.
Che ci crediate o no, potrebbe succedere.
Il Parlamento ha, infatti, deciso di approvare un provvedimento che consentirebbe a cittadini extra-comunitari di acquistarla al modico prezzo di euro 650.000.
Ed io che avevo lanciato una provocazione ragionata nei mesi scorsi.
Lo dico a tutti quelli che quotidianamente ricordano Lampedusa e suoi drammi.
Ma anche a quelli che nello stesso secondo, ogni giorno, li dimenticano.
Ho pensato che fossimo fortunati noi "cittadini europei" di poterci muovere liberamente nel territorio dell'Unione. Oggi, come ieri.
Ci ho ragionato un giorno, all'aeroporto di Trapani, mentre mi accingevo a saltare su un aereo.
Mentre ero in fila avevo incontrato vari siciliani, figli di genitori emigrati negli anni sessanta.
Oggi, cittadini felici di terre francofone cui i genitori avevano fatto un dono in contropartita della loro rinuncia: la possibilità, la speranza di un futuro migliore.
E così ho pensato che erano stati fortunati a potersi muovere "liberamente" prendendo un treno con "pochi" spiccioli e tanta sete di lavoro e speranza.
E per un attimo ho pensato, invece, a quanto lo fossero veramente poco i nostri nuovi migranti. Disposti a intraprendere un viaggio in mare, al prezzo di tanti spiccioli, e a volte al costo della loro stessa vita.
Fotografie di migrazioni diverse. Ma motivate da sentimenti simili.
Tuttavia, condannati dalla casualità del proprio luogo di origine a non potersi muovere liberamente, ad aver recise le ali.
Così, ho pensato: una soluzione c'è. Potremmo concedere la cittadinanza italiana a tutti i migranti per motivi umanitari e regalare loro le ali della libertà. Così sarebbero cittadini europei e potrebbero restare qui o andar lontano, verso altre terre europee, ad abbracciare i propri cari.
Tanto, sin da quando ero bambina, ci hanno insegnato che si può e si deve sempre trovare un posto per gli altri accanto a noi. Soprattutto se fuggono da situazioni disperate.
Mai avrei pensato che, un giorno, qualcuno potesse svegliarsi con una simile idea.
La compravendita della cittadinanza. Va bene che in quanto Stato membro restano liberi di determinare le modalità di concessione della stessa. Ma spero che una simile idea resti chiusa in un cassetto.
Già è tanto solo il pensiero di metterla per iscritto su un foglio bianco, alla faccia di diritti e democrazia.
Alla faccia dei migranti e degli altri cittadini extra-comunitari.
Del resto, è inutile fingere che siamo tutti uguali. Ci sarà sempre qualcuno più uguale degli altri finché avrà i soldi per comprarsi le ali della libertà, anche a qualsiasi costo.
http://www.eunews.it/2013/11/13/malta-mette-in-vendita-la-cittadinanza-europea/10514


giovedì 3 ottobre 2013

Ali di libertà...spezzate

Penso al mare oggi e alla sua immensità.
Quel mare che normalmente è sempre capace di accoglierci, farci sentire liberi, trasmetterci pace, in qualunque momento della giornata.
Capace di rimettere in armonia il nostro intimo con il mondo esterno con le sue onde, che sono ali di libertà per chi le ascolta.
Questo mare, soprattutto per un isolano, fa sempre parte del suo essere e ovunque vada, lo accompagna come una dolce musica, di intensità inaudita.
Oggi, come da anni ormai, il nostro mare è diventato per molti crocevia di speranze, di vita; una strada da imboccare per far dispiegare le proprie ali alla ricerca di libertà negate, in vari luoghi del mondo.
E così, il mare che da secoli è un canale che fa defluire navi, battelli, persone e merci è diventato non più un luogo di scambio e di scontro, ma un luogo di battaglia per la sopravvivenza. E ahimè un luogo di morte.
Di strage. Sì, una strage.
Come quella che questa notte, l'ennesima, si è verificata tra le bellissime onde dell'Isola di Lampedusa.
Un mare bellissimo, immenso, infinito come l'amore di una madre ma incapace di accogliere nel suo ventre tutti i suoi figli.
Donne (molte incinte), bambini, uomini disperati. In fuga da situazioni di guerra, di lotta, di fame e miseria.
In fuga.
Ancora ricordo la bellissima immagine di qualche mese fa, quando al largo delle coste di Siracusa, i bagnanti avevano creato una catena umana per aiutare i migranti ad avvicinarsi alla costa per essere tratti in salvo.
E oggi, le scene di quelle scarpette vuote, simbolo di passi spezzati.
Purtroppo, a volte, la forza della generosità e dell'accoglienza, non sono sufficienti.
Ci vuole qualcosa di più. Ci vuole uno scatto. Un impegno serio ed efficace.
Quanti corpi dovremo ancora ricevere dal nostro mare prima di stancarci di guardare, di aspettare che "chi di dovere" faccia qualcosa?
Siamo stanchi di vedere il nostro mare continuare a mietere vittime. Donne, bambini, uomini disperati.
Siamo stanchi di recidere le ali della libertà di migranti in fuga.
Così come non ne possiamo più di assistere al rito dell'attesa. Migranti  lasciati in attesa nei centri di  identificazione e di accoglienza per i richiedenti asilo.
Penso al mare oggi e alla sua immensità. E alla sua incapacità di accogliere tutti e alimentare i sogni di libertà di migranti in fuga. Donne, bambini, uomini, disperati. Purtroppo.
Non riesco a pensare ad altro.





mercoledì 17 aprile 2013

L'ennesimo rifiuto...

In questi giorni, ancora una volta, ho sentito da lontano l'eco della mia città tutto porto chiedermi aiuto per l'ennesima invasione. L'ennesimo rifiuto.
Da lontano ma dritto fino al cuore, come una lancia dolorosa capace di infliggerti il dolore più atroce.
Tu sei bella Palermo e non lo sai.
Sei splendente e hai lineamenti di porcellana e occhi profondi capaci di catturare gli altri con grande sincerità.
Sei generosa e umile. Nascondi i tuoi gioielli più preziosi mostrandoli solo agli eletti che sono in grado di trovarli.
Hai cuore e tanta magnanimità.
Ma sei sola e triste.
Sola e abbandonata ad un destino crudele.
E mi tocca rimpiangere di non poterti trascinare fuori dalle tue mura, dal tuo mare per portarti in viaggio e per mostrarti come altrove, le altre sono coccolate e custodite, come tesori preziosi.
Ieri, passeggiando per le vie di Strasburgo che, in questi giorni, gode di temperature quasi estive e eccezionali, sono stata rapita dal fascino delle sue piazze, delle sue strade, delle sue fontane che hanno ricominciato a scorrere dopo il gelo invernale. E la gioia dei suoi abitanti, seduti fuori ai tavoli di locali su aree pedonali, felici di bere una bibita fresca o di gustare il magico gelato di "Franchi". E le bici, che non hanno mai smesso di circolare, ma si son vestite di fiori e profumi primaverili per adattarsi alla stagione. Anche loro felici di aver abbandonato il triste inverno.
Sembrava un sogno, mia cara Palermo e addirittura sembrava di essere in una scena d'opera lirica, talmente tutto sembrava così perfetto.
Avresti avuto voglia pure tu di toglierti le scarpe e danzare festosa in questi spazi così a misura d'uomo.
E ho provato pena per te, che puoi spesso godere delle gioie di temperature invidiabili, che hai già il mare e non hai bisogno di sostituirlo con finte spiagge sulle piazze cittadine o laghi e piscine varie.
Hai tutto ma ti manca ognuna di queste cose. Perché non riescono a risplendere.
C'è sempre quel rifiuto a farti la guerra.
E se ieri, almeno nelle sere estive, potevamo uscire e incontrarci tutti a Piazza Rivoluzione per sfuggire alle insidie del caos notturno, facendo finta di essere felici e di non vedere le lucciole, oggi le luci si sono spente e anche questo spettacolo è finito.
E ora quei rifiuti stanno bivaccando alle tue spalle inondandoti e intaccando la tua anima e la tua essenza.
I rifiuti, maledetti!
Eppure, i rifiuti non sono necessariamente qualcosa di malefico, quando si pensa a riutilizzarli.
La scena sembra quasi fantascientifica. Ma intanto ieri ho messo una bottiglia dentro una macchinetta al supermercato e in cambio ho avuto uno scontrino di 0,21 cents per detrarli dal totale della spesa.
Fantascienza, fantascienza...
Un giorno, ti prometto, tutto cambierà. Un giorno anche tu sarai amata da tutti, soprattutto dai tuoi abitanti e non solo invidiata da lontano per il mare, le temperature e i gelati.
Un giorno, l'ennesimo rifiuto smetterà di opporsi al tuo amore e ti renderà splendida e quasi perfetta.


domenica 17 marzo 2013

Venti di diritti e democrazia.

Stavolta possiamo urlarlo a squarciagola.
Anche se sarà necessario respirare molta aria per coprire il raggio di separazione dal bel Paese.
Siamo dimenticati, fisicamente distanti ma emotivamente onnipresenti.
Ieri, mi sono davvero emozionata nel seguire le elezioni dei due Presidenti di Camera e Senato.
Con una passione sempre viva, ma rigenerata.
Laura Boldrini è sempre stata il mio modello di donna e di pasionaria dei diritti.
Ricordo di averla incontrata quando presentò il suo libro sulla sua pluriennale esperienza tra gli immigrati, in quelle terre lambite dal verde mare di Lampedusa.
Lampedusa,  terra anche lei di contrasti. Terra lontana, anche se vicina.
Vicina per la miriade di turisti assatanati pronti ad invadere le sue bellezze, ignari di tutto o presunti tali.
Lontana dalla civiltà, per la sua continua dissacrazione, volontaria o non, dei diritti umani.
Specchio magnifico di acque troppo colme di corpi martoriati e abbandonati. Corpi senza nome. Troppi.
Terra di abitanti generosi ma troppo spesso abbandonati.
E lei, il nostro nuovo Presidente della Camera, in tutti questi anni ha lottato per mediare tra due mondi apparentemente lontani anche se poi non così tanto.
Per urlare la disperazione di popoli dimenticati.
Per porre rimedio alla "sofferenza sociale". Per provare a sensibilizzare.
Ieri, la mia distanza fisica dal bel Paese è apparsa come una linea retta piena di sassolini pronti ad indicarci di nuovo la via.
Non per tornare indietro, ma per andare avanti.
A volte, la storia è proprio beffarda.
E così, chi l'altro ieri "sfilava" animosamente davanti ad un Tribunale per osannare la distruzione del potere giudiziario e la sua eliminazione dalla società contemporanea, ieri stesso ha dovuto tollerare "l'invasione" di nuove realtà. Di nuove persone. Di nuove personalità.
Di "nuove" parole. Come giustizia, equità, diritti delle donne, degli immigrati, dei giovani, dei pensionati, degli esodati, dei cittadini e non, di  tutti gli altri.
E memoria. Dei padri costituenti e dei loro principi spesso accantonati, delle vittime di mafia, di terrorismo e di ogni ingiustizia subita. Memoria della disperazione di famiglie ancora condannate a non conoscere la "verità" sulla morte violenta dei loro cari.
Ed è stato costretto a "subire" l'incalzare di un vento nuovo, caldo, piacevole, capace di ritrasmetterci forza e passione.
Poco importa cosa succederà. Oggi mi sento rassicurata.
Tutto quello in cui ho sempre creduto e sperato ha una nuova forma. Quella di una società in grado di cambiare, evolversi, ricordare e imparare dagli errori del passato.
Aveva ragione Adriano Celentano. È sempre dalla fine che si ricomincia.

http://www.repubblica.it/politica/2013/03/16/foto/laura_boldrini_dalla_siria_allo_yemen_con_unhcr-54699899/1/#1


lunedì 4 marzo 2013

Si fa presto a dire DONNA...

Quest'anno non me la sento proprio di aspettare l'otto marzo per proclamare la giornata internazionale della donna e "bacchettare", come al solito,  i "festeggiamenti" inutili, perlopiù limitati alla durata di appena qualche ora.
Ancora oggi, leggo che, dopo tre anni, quello che sembrava il suicidio di una giovane donna, sarebbe oggi ascrivibile alla violenza dell'ex fidanzato.
E ancora, anche se si fa presto a dire "donna" e quote rosa, i nostri diritti sono quotidianamente calpestati.
Noi non chiediamo niente di strano a questi nostri uomini né tantomeno alla società.
Chiediamo solamente rispetto e riconoscimento sociale.
E chiedo qualcosa anche anche a voi, care piccole e grandi donne.
Chiedo anche a voi di avere più rispetto per voi stesse.
E non è casuale.
Il primo passo verso il non rispetto si compie quando tolleriamo troppo e troppe cose.
Quando permettiamo a chiunque di trattarci con sufficienza e senza troppa decenza.
Quando lasciamo che certi maschi o la nostra peggior nemica, la società stessa, ci trattino come beni fungibili, pronti a sostituirci e a buttarci via senza alcuna pietà.
Quando lasciamo che si sottovaluti continuamente la nostra intelligenza.
Quando non avvertiamo che certi atteggiamenti o comportamenti non sono mica normali.
Ma noi non lo capiamo. O tantomeno non lo capiamo per tempo.
Ma quand'è il momento giusto per capirlo? Perché c'è forse un momento per capirlo?
Qualche mese fa ho sentito il gelo scorrere lungo tutto il corpo e intorno al mio cuore quando ho assistito allo spettacolo di Serena Dandini e delle altre "donne ferite a morte".
Ho provato disgusto e impotenza. Anche verso la società.
Perché per quanto fosse straordinario fruire gratuitamente di cotanta lezione di civiltà, intanto, chissà dentro quante mura si continuavano a consumare gesti di solita e quotidiana violenza.
Nel senso che, nonostante lo straordinario successo, non eravamo riusciti a trascinare dentro quel teatro le vere vittime di questo drammatico "spettacolo".
E questo lo percepivo come un fallimento.
E ripensavo ad una giovane ragazza della mia età, incontrata qualche mese fa, che non riusciva a lasciare suo marito, il padre di sua figlia, il padre dei suoi lividi perché temeva la sua forza bruta. Temeva di morire se solo l'avesse lasciato o se solo lui avesse conosciuto questa sua intenzione.
E la dirompente paura delle conseguenze future era più forte dell'inarrestabile potenza della violenza subita, quella che la costringeva a stare zitta e a dormire per terra per punizione.
Non è una realtà tanto lontana dal Pakistan della Laila di "Mille splendidi soli".
Condannata a subire la violenza del marito. Ma Laila ha studiato, nel tempo in cui l'istruzione non era riservata ai soli uomini. Suo padre le ha insegnato che una donna colta è tutto ciò che di più pericoloso c'è.
Laila è astuta.
E si rivela ben pronta a reagire e a ribellarsi pur non avendo a sua disposizione altro mezzo se non quello della rabbia e dell'intelligenza. E alla fine, quella dell'altrui solidarietà di sesso femminile.
E allora, come Laila ci insegna, c'è sempre una via di scampo?
Io voglio pensare di sì.
E voglio  che tutte noi, piccoli e grandi donne, non prendiamo per l'ennesima volta al volo questa giornata per agire superficialmente e senza alcuna riflessione.
Voglio che in questa e in altre giornate si pensi a tutte quelle operaie morte dentro la loro fabbrica newyorkese nel 1911 per il solo fatto di aver scioperato, a tutte quelle donne sacrificate nel loro ruolo che giornalmente sono costrette a rinunciare a un pezzetto della loro dignità perché sono state dimenticate dalla società.
Voglio pensare a tutte le madri e non, lavoratrici e non, che ogni giorno sono pronte a lottare per affermare diritti e solidarietà e che, nonostante tutto, alla fine di ogni giornata sono capaci di regalarci un sorriso, una carezza e brillare di luce propria senza aspettare di essere baciate dal sole o dal chiaro di luna.



sabato 23 febbraio 2013

Ma io voglio assolutamente votare! No grazie, l'Italia ritiene ancora una volta di non aver bisogno di te.

E il grillo urlante,  il mentore un pò deludente, il bugiardo pericoloso sempre in agguato, il democratico ben ponderato, il professore fin troppo apprezzato.
Basta non ce la facciamo più. Non fanno che alimentare dissapori e delusioni.
Ma c'è ancora qualcuno che ci lascia un briciolo di speranza? Forse.
Intanto, tu ti senti una povera formica momentaneamente emigrata per sopperire a un bisogno vitale: non farti uccidere quella porzione di cervello che forse ancora ti rimane.
Ma tu non conti niente per questo paese. E quindi non hai voce.
Perché ogni giorno, soprattutto negli ultimi anni, ha ignorato la tua esistenza.
Ti ha usato solo per estorcerti soldi; ogni tanto ti ha regalato qualcosa: amori, affetti, ideali, valori, canzoni, sorrisi, pietanze infungibili, odori di casa, tutti pezzi fondamentali della tua esistenza. Ma non sono stati sufficienti.
Perché ti ha negato un'evoluzione sociale adeguata.
Ti ha impedito di lavorare e avere in cambio una gratificazione/retribuzione. Perché non prendiamoci in giro. Di passione si vive liberi, ma non si campa.
Ti ha impedito di andare in banca e aprire un conto gratuitamente.
Di saltare sopra un mezzo di trasporto efficiente per condurti a strati un pò più soddisfacenti delle tue giornate e scalate.
E ha relegato i "poveri" all'uso della bici. Mentre, i "ricconi" si sono "accontentati" di auto fiammanti. Solo per sfrecciare dentro queste su porzioni dissestate di strade dimenticate.
Per non parlare della "crisi esistenziale" che ci ha sopraffatto.
Ormai, per consolarci di una vita triste e poco adeguata alle nostre esigenze, ci siamo rifugiati nel mondo parallelo. Quello che, dapprima, ha iniziato a scorrerci accanto. Poi, invece, ha preso sempre più spazio, fino a sopraffarci.
Risultato: ormai non sappiamo più fare niente senza internet, i social networks e "l'alta tecnologia"!
Grandi conquiste!
Però, queste grandi invenzioni non sono state in grado di regalarci, a loro volta, altre evoluzioni.
E quindi la tecnologia che oggi agisce all'impazzata, oggi stesso non ti permette di votare.
Non ti aiuta, pure lei ti ha dimenticata.
Ma chi se ne frega, direbbe qualcuno.
Basta che ti aiuti a tenere sempre in primo piano la tua bella faccia, magari pure modificata, a vomitare a tutti pezzi della tua straordinaria esistenza. Poi, però, poco conta se giornalmente pezzi di diritti e di felicità sono sempre più sbriciolati.
Fino a scomparire, senza nemmeno accorgercene.
Ma che importa.
Forse dovrei semplicemente rassegnarmi al fatto che così vanno le cose e che bisogna accontentarsi.
Accontentarmi?
Signori Cittadini, voi che avete ancora voce, se gradite, siete ancora liberi di non accontentarvi.
Ma dovrete scomodarvi a scivolare fino alla cabina elettorale, perché il fantastico mondo di internet, per quanto sia gratuito, non è ancora in grado di appagare certi nostri diritti.
Per fortuna, purtroppo.



domenica 27 gennaio 2013

Cronache di una prima settimana alsacienne

Scusi, vorrei sapere cosa occorre per avere l'abbonamento mensile. Sono studentessa.
La madame dietro lo sportello mi chiede: "Quanti anni ha?".
Io rispondo: ventotto! Non sono certo felice per quella domanda.
Non lo sono perché so che la riduzione per studenti funziona solo fino ai 25 anni. E io ne ho ventotto.

Troppi. In Francia, ventotto anni sono troppi per essere uno studente.
In Francia, ti "aiutano" ad uscire dal nucleo familiare molto tempo prima.
Prima, insomma. Perché è davvero importante essere indipendenti e anche liberi.

Liberi di decidere di prendere in affitto un appartamento per starci soli o in due.
Liberi di godere del fine settimana dopo sei giorni di lavoro.
Liberi di poter  uscire dal portafoglio, quella carte bleue, all'Università o al ristorante, che ti aiuta a sentirti fiero ed indipendente.
Poi, è normale che mi sento continuamente stanca e presa in giro per le conneries italiennes.

 Quelle che ci raccontano ogni giorno, quelle del merito e dell'esser choosy; quelle sparate troppo forte per non provare rabbia e disgusto.
Per lo più, ultimamente, ancora più amare e disgustose dopo l'ennesimo ritorno delle berlusconneries.

Ha proprio ragione Roberto Saviano quando dice che bisogna lasciarlo solo e isolato come un bambino di settantasei anni, che insiste  troppo per ottenere qualcosa dai genitori. Lasciarlo perdere.
Ci riusciremo mai?
In Italia, noi "genitori" di tanti bei valori, di meriti e successi, di fatiche e sacrifici, ci siamo proprio stufati.
E così, come faccio a non gioire della mia prima settimana alsacienne?.
In Italia, ho trascorso un anno e mezzo credendo di avere il volante tra le mani per potermi sentire abbastanza libera di muovermi.
Ma quando afferravo quel volante, mi scontravo con troppe anomalie e disagi.
Ha mai lavorato? No. Cioè si. Beh, in realtà ho fatto uno stage di due anni in uno studio legale.
Ma sa, non è remunerato. Scusi, ma allora che lavoro è?
Nel frattempo mi agitavo tra una circonvallazione e un parcheggio che non c'era mai, per riuscire ad arrivare in orario. L'ora esatta e l'orario, la mia ossessione per due anni. Per soli sette km di distanza dal mondo quotidiano. Troppo, troppo distante da me.
L'altro giorno, ho preso per la prima volta il tram, alla fermata "Homme de Fer".
Qua è facile orientarsi. Pur non guidando, sentivo di aver un bel timone tra le mani.
Dieci minuti, trascorsi tra uno sguardo e un altro intorno a me.
E intanto, guardavo fuori, quei "coraggiosi" capaci di sfidare il freddo, correndo felici in bici. Felici.
Strano. Fuori, c'è la neve. Ma loro se ne fregano e sfrecciano liberi.
Nonostante le spaventose linee del tram che ti "intralciano" il cammino e le zone pedonali.
A Palermo, ti ucciderebbero all'istante. E sarebbero terribilmente tristi (molti, certo, per fortuna non tutti) di non poter piazzare quella cavolo di auto ovunque vadano, a due metri dall'università, dal centro commerciale, dal centro di analisi, da Louis Vuitton (stranamente, qua questi negozi sono vuoti e non fanno la fila come da noi, credendo di contare di più, se vi hanno accesso e se espongono seriali ed insignificanti "borsette" lungo una strada dissestata). A due metri  dalla posta.
Oh la posta. Che cosa assurda. Qua i maledetti cedolini per le raccomandate A/R etc li piazzano su una bella scrivania all'entrata, così se ne hai bisogno, non sei costretto a scavalcare, tra il linciaggio generale, gli altri in attesa, perché credono che tu gli voglia "fottere" il posto.
Sono piccoli dettagli, trovo. Ma importanti, nel delirio della vita quotidiana.
Vita quotidiana. Strasburgo è una città ricca, ma ricca di tanti buoni esempi. Avrà di certo anche i suoi lati negativi. Ma qui ho l'impressione che la gente sia più felice.
Perché sa di contare qualcosa.
Era scioccata, al mio arrivo all'università, quando la Responsabile di Relazioni internazionali, ha voluto accompagnarmi ovunque per spiegarmi tutto e soprattutto la dislocazione delle varie aule e uffici.
Mi parlava e conosceva già il mio nome.
E la guardavo, pensierosa. Pensavo a quante volte sono stata costretta a correre alla ricerca di uffici senza sapere dove fossero, ad assorbire senza poter urlare il malessere dei responsabili di quegli uffici. Troppo poco pagati, troppo mal organizzati,  a volte per nulla appassionati.
E ora lei teneva, con calma e cura, a spiegarmi tutto perché non mi sentissi perduta.
Perduta. Quanta gente deve aver goduto nel vedermi spaesata e perduta.
Ma ora sono qui, incastrata tra l'attesa di una borsa di studio e la voglia di vivermi questa città.
Felice di ascoltare professori motivati nel parlare di diritti.
Poi la professoressa ha pronunciato un parola: per me il diritto internazionale è una passione.
Strano. Quante volte la si dimentica o la si è dimenticata. Ora, intanto, sono qui.
Felice di sentirmi appassionata.