Il flusso...

Il flusso dei pensieri di una mente è un turbinio di emozioni e di sensazioni.
Io osservo la realtà e la descrivo, così per come è filtrata attraverso i miei occhi, la mia mente, il mio cuore, così per come la vedo io.

domenica 25 novembre 2012

L'attesa di chi o cosa?

Capisco la rabbia dei miei coetanei. O addirittura di quelli un pò più maturi.
Non è una rabbia personale, diretta incondizionatamente verso i singoli componenti di questa società che premiano gli studenti di lungo corso. E quelli che alla fine sono premiati.
La nostra è una rabbia collettiva, generazionale.
E ne dovete tenere conto.
Perché ci avete reso schiavi di lunghi curriculum, intere ore passate tra studio e studi,  caffé. A volte, neppure quello. E non sempre gratis.
Ci avete illusi che studiando e accumulando titoli meritatamente, senza MAI chiedere niente a nessuno, prima o poi il nostro posto, in questa società ( senza troppo agognare quello fisso) lo avremmo trovato.
E, invece, ogni mattina mi sveglio, corro alla pensillina del mio autobus di periferia, che mi separa dal resto della città e mi fermo, a volte senza neppure trovare lì posto e aspetto.
Ma aspetto chi o cosa?
Aspetto che Richy, trentacinque anni, concluda finalmente la sua settimana, trascorsa tra file per colloqui, colloqui e mezzi pubblici, un giorno mi telefoni e dica: "Ho trovato lavoro!!! Mi piace moltissimo!!".
Aspetto che Anna, sorriso da favola e testa di rara intelligenza, concluda quel suo percorso di studi e riesca a trovare il suo meritato posto in quell'ospedale, spintonando con i figli dei raccomandati che sanno già cosa fare e come, ma non hanno idea di cosa sia trascorrere sei ore in piedi in ospedale.
Aspetto che Sammy si laurei!!!! Amico mio, quanto sei bravo e tenace!! Sei riuscito a sempre a spianarti la strada da solo solamente grazie ai tuoi sacrifici e all'affetto delle tue sorelle.
Aspetto che Rosy, finisca il suo turno di cameriera a 40 euro a sera/notte, racimoli le briciole dei suoi clienti e della sua stanchezza e non si trovi a dover tollerare l'acida arroganza dei passanti da quei tavoli che le intimano senza nemmeno un "per favore" di pulire l'ennesimo tavolo.
Aspetto, aspetto.
Intanto, mi fa male la schiena, le braccia e la mano destra. Perché ho passato tutto il mio ultimo anno ad attendere il bus e a scrivere, scrivere e pensare. Ho passato l'anno a tollerare l'arroganza e la presunzione di chi fa carriera senza sapere poi così tante cose e vuole solo comandare.
E, talvolta, mi bruciano pure gli occhi, al punto che la sera mi butto sul letto e non ho più nemmeno voglia di leggere le fantastiche storie che mi distrarranno dall'attesa.
Ma l'attesa di chi o che cosa?
Ho passato gli ultimi anni della mia vita a studiare e imparare senza mai fermarmi, nell'attesa che il mondo cambiasse. E, spesso, l'attesa non ti cambia nulla.




venerdì 23 novembre 2012

È la cultura del rispetto che manca o semplicemente la cultura.

È la cultura del rispetto che manca o semplicemente la cultura.
E così, mentre l'ignoranza prende il sopravvento e la crudeltà pure, i nostri sogni di una società civile si infrangono. Si spezzano e con loro spezzano le ali di una giovane vita, stroncata dalla sofferenza della differenza e della non indifferenza.
Si non indifferenza. Perché, talvolta, meglio essere non visti o visti con indifferenza piuttosto che essere scrutati sollecitamente in tutte le proprie sfaccettature, in tutti i propri manifesti sentimenti o atteggiamenti, in quei presunti "difetti", troppo mal visti e troppo diversi per essere tollerati.
Che vorrà dire poi diverso.
Alle scuole elementari diverso era considerato un compagno di classe che aveva un handicap: soffriva di mancanza di amore.
Però tutti lo deridevano perché, non riuscendo a vedere quale fosse il suo vero male, si ostinavano a vedere in lui un solo unico difetto: i deficit mentali che, se sollecitati crudelmente dai coetanei, si trasformavano in violenza. Prima lo provocavano e poi si lamentavano.
Alle medie o alle superiori, diverso era chi era costretto a celare la sua non religiosità per poter sopravvivere all'inclemente ignoranza di quei figli di mamma e papà, colpevoli di non aver loro insegnato la storia delle religioni del mondo o chi aveva determinate qualità che mortificavano ancora una volta la mancanza di sapienza altrui.
Figuriamoci, se si fossero trovati di fronte a qualcuno dal diverso orientamento sessuale, cosa avrebbero pensato o fatto.
L'altro ieri, una signora con due bambini ganesi in affido, si inorridiva di fronte alle dilaganti battute razziste, urlate da una parte del popolo dello Stadio di Parma durante la partita Italia- Francia contro i calciatori neri.
Ieri, un ragazzo di quindici anni si è suicidato perché, dicono, era omossessuale e per questo deriso da tutti.
Oggi, tutti cercano di salvarsi  e lavarsi la coscienza perché fa troppo male pensare che in qualche modo, in qualche momento, abbiamo tutti contribuito al suo malessere e al suo non più vivere, così come agli altri mali moderni della società.
Lo abbiamo fatto nel momento in cui abbiamo lasciato che un malefico social network prendesse il sopravvento e sterilizzasse le nostre conversazioni, i nostri sentimenti, inacidisse i nostri commenti.
Lo abbiamo fatto quando abbiamo smesso di amare chi ci sta accanto con tutta la sua originalità e fantasia o anche chi è semplicemente assuefatto nel conformismo.
Lo abbiamo fatto, quando abbiamo smesso di sognare e coltivare sogni di civiltà e ci siamo svegliati, di soprassalto, in preda ad un sconvolgente incubo.
Senza più lei, la cultura, quella del rispetto, della diversità. Senza più una speranza, sommersi in un mare di vuota e triste ignoranza.