Il flusso...

Il flusso dei pensieri di una mente è un turbinio di emozioni e di sensazioni.
Io osservo la realtà e la descrivo, così per come è filtrata attraverso i miei occhi, la mia mente, il mio cuore, così per come la vedo io.

sabato 22 settembre 2012

È stato il figlio

I titoli di coda corrono e scorrono sulle note di una musica da gran finale.
Scioccata, resto palesemente inchiodata alla mia poltrona di velluto, scioccata.
È stato il figlio, così dicono, così hanno voluto credere.
Lacrime, pugni, membra agguerrite, denti pronti a mordere e a lacerarti anima e corpo, nella mischia, senza guardare altrove, senza sentir nessuno.
Convinzioni che nascono dall'ignoranza, maledetta sia!
L'ignoranza che nasce un pò per caso o per volontà (in certi casi) e si dipana lungo le arterie della vita quotidiana, assorbendo ogni azione, comandando ogni pensiero, convincendoci di quello che non c'è o rifiutando tutto ciò che sarebbe meglio accettare.
Ignoranza mista a rassegnazione, maledette!
Ti inchiodano a convinzioni che non ti sogneresti mai di pensare, eppure sono là, a farti compagnia.
E restano ancora là, senza tregua. Ti assorbono cuore e cervello fino a indurti a sacrificare anche ciò che di più caro c'è, senza alcuna pietà, senza alcuna speranza di salvezza.
E noi le lasciamo arrivare e prendere campo, in preda allo scorrere inesorabile del tempo.
Rinunciare alla propria libertà per la propria presunta inutilità.
Non essere capiti né voluti.
La Palermo che non c'è, neppure sul set, perché sostituita da una Puglia più florida e meno inaridita, si erge ad esempio di uno scorcio di vissuto irrimediabilmente drammatico.
E ci fa male, ci fa orrore.
Ma la sola cosa che a loro interessa è trovare chi sia stato, senza nemmeno cercare troppo.
Del resto un figlio "inutile" ma onesto, vale meno di uno disonesto, capace di arraffare mafia e affarucci di quartiere.
Ma poco altro importa, se non dire chi è stato e chi no. È stato lui, il figlio, l'unico a restare sempre indietro, a non capire mai, se non quando è troppo tardi.



domenica 9 settembre 2012

"Ma la Sicilia non è in Italia"..
Faccio in tempo a stringere i pugni e guardo la madame con sospetto e ribrezzo, dicendole che la sua è senz'altro un'idea arcaica.
Poi torno a leggere una serie di pagine su storie di donne siciliane, costrette dalle regole sociali a vite meschine e sacrificate, scalfite dall'ignoranza e dalla forza dei soprusi. Magari tanti anni fa, ma magari ancora esistenti. Mi guardo attorno, l'ignoranza è ancora una forza permanente.
E rifletto. Certamente, il mio disprezzo verso l'idea di quella madame è una reazione immediata, impulsiva che non può che trovarmi in disaccordo con lei.
Ma quando poi rifletto, quando guardo attorno a me, alla molteplicità dei tipi umani e alle sfaccettature dei comportamenti di ognuno, penso che quella donna non ha poi così tanto torto.
La madame sarà senz'altro un pò ignorantella, avrà forse omesso qualche anno di salti in avanti e di cambiamenti, forse.
Intanto, quelle pagine mi sbattono in faccia condizioni di donne rassegnate e condannate a vivere nella società occupando un posto non scelto. Risalenti non poi a così tanto tempo fa.
Un giorno Julia mi ha scritto entusiasta che stava leggendo un libro ambientato in Sicilia, "Il conto delle minne" e che lo trovava divertente ed esilarante.
Un'austriaca stregata dalla letteratura femminile siciliana. Non potevo che lanciarmi curiosa alla scoperta di queste pagine.
Risultato: nulla da dire sulla qualità e sulla bellezza di questo scorcio di vita siciliana.
Nulla da dire sull'importanza di custodire il proprio nucleo familiare, imparando a scoprire i tesori della sua  tradizione, ivi compresi quelli culinari.
Ma, ad un tratto, ho l'impressione che questa sicilianità, che spesso è forza motrice di grandi sogni, speranze, idee, rivoluzioni, grande ingegno, a volte ne è allo stesso tempo la condanna.
E così, quella donna che aveva fatto tanto per progredire, andare avanti, liberarsi delle catene imposte dalla società per inseguire se stessa e i suoi sogni, alla fine, ripiomba nel vortice dell'inerzia, della rovina, ritorna alle origini. Finendo per dimenticare tutti i passi avanti precedentemente fatti e dimenticando i valori che l'avevano aiutata a salvarsi dalla condizione inerme di donna sicula, racchiusa in un mondo piccolo piccolo.
E ancora, ho perseguito la mia strada lanciandomi nella scoperta delle mennulare di Simonetta Agnello Horbny, anzi della fatidica "Mennulara". E ancora una volta, mi è stata sbattuta in faccia la condizione critica di donne condannate a servire i capricci di padroni irriverenti e schiave di posti, non certamente scelti da loro e di mentalità arcaiche.
Anche se grandi donne, laboriose, belle, combattenti ed energiche.
Condizioni che, a volte, non possono che lasciarti un magone di disgusto.
Insieme alle storielle di familiari in continua lotta per la conquista di un'eredità, vicini sempre pronti a scrutare ogni tuo minimo movimento o cambiamento e  pronti a cogliere, come cani affamati, i primi segnali di ogni piccola tua debolezza. Senza dimenticare i mafiosi pronti a comandare su tutto e tutti, pure sulle questioni familiari e private.
"Non si può certo dire che non fosse così un tempo", mi ricorda la voce della donna che più di tutti ha il merito di avermi cresciuta libera e pensante; "ed è ancora così, in qualche modo, in certi posti".
E allora ripenso a tutte quelle donne che, ancora oggi, conducono vite decise da scelte altrui, che sono ignare della loro intelligenza e che pensano di aver bisogno di un uomo che le porti a cena e offra fiori per sentirsi più felici, che spesso sono costrette a rinunciare a loro stesse e non lo sanno, non lo capiscono.
Ma penso anche che ci sono donne intraprendenti, donne libere, pronte ad inseguire i loro sogni e ad affrancarsi dalla loro gabbia dorata.
Riapro il libro e penso che la Mennulara sarà pure stata serva, ma in cuor suo, era la più libera ed ingegnosa di tutti.